Separarsi bene si può!

Come ci si può separare bene e con rispetto?

Due pratiche per una buona separazione che favorisca consapevolezza e discernimento per chi si separa in un cammino di Chiesa.

Discernimento è una parola che oggi ha bisogno di essere richiamata ed è molto presente nei discorsi del Papa e della Chiesa Italiana. Riguarda l’analisi delle azioni e la scelta tra ciò che è bene e ciò che è male nella vita per vivere in modo rappacificato con se stessi e con gli altri. Perché parlare di discernimento riguardo alla separazione?

Per chi decide di separarsi nella comunità cristiana diventa importante collegare l’esperienza della separazione a quella della fede. Spesso capita di sentire che se dal punto di vista del cammino di fede si cerchi un modo di separarsi che sia meno conflittuale, più aderente ai valori che una persona ha professato fino a quel momento, la separazione diventa un cammino durissimo di distacco da sè stessi e dai propri valori in nome di un conflitto istituzionale causato dalle dinamiche conflittuali “obbligatorie” di un percorso giudiziale.cropped-img_0563

Il Papa invita a Togliersi i sandali di fronte alla terra santa dell’altro, cosa non facile in un conflitto che non di rado ha visto i coniugi causarsi reciprocamente ferite e dolore.

Molti non sanno che esistono molti modi di separarsi, alcuni vanno proprio nella direzione della costruzione di un rapporto rispettoso e costruttivo sia durante la separazione sia dopo gli accordi di separazione.
Questi metodi sono utili a mettere le basi per la successiva verifica nel discernimento delle situazioni di cui parlano i documenti che riguardano la pastorale dei fedeli separati, divorziati e in nuova unione.

Il capitolo 8 dell’Amoris laetitia di papa Francesco dice ai seguenti numeri:

79 « Di fronte a situazioni difficili e a famiglie ferite, occorre sempre ricordare un principio generale: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le
situazioni” (Familiaris consortio, 84). Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono contodella complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione ».

298 I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui « l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione ».

329 C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di « coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido ».

330 Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni[…]”
(Passi tratti da : Jorge Bergoglio. “Amoris laetitia. Esortazione apostolica sull’amore nella famiglia. Introduzione di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti”. iBooks.)

Questi documenti papali sono stati accompagnati immediatamente da riflessioni e atteggiamenti pastorali indicati da alcuni vescovi, che sono stati accettati ufficialmente dal papa: i vescovi argentini hanno diffuso una lettera con indicazioni operative che vanno nella direzione di indicare un’attenta analisi della vita “rappacificata” dopo la separazione per accompagnare ad un cammino di riammissione ai sacramenti.

Di recente anche i vescovi Lombardi hanno aderito a queste indicazioni dei vescovi argentini e invitano i sacerdoti a farsi reali accompagnatori di cammini di fede e di riconciliazione umana, e che tutte le comunità sappiano accogliere ed accompagnare le persone che si trovano in queste situazioni.

E’ quindi di estrema utilità che anche i sacerdoti e le comunità siano informati di queste diverse modalità di risoluzione dei conflitti coniugali che in molti casi possono essere più aderenti ai valori ed ai cammini da percorrere.
Ne presentiamo qui in particolare due, la pratica collaborativa e la mediazione familiare.

“della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione ».
298 I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui « l’uomo
e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione ».
329 C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di « coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido ».

330 Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni[…]”

(Passi tratti da : Jorge Bergoglio. “Amoris laetitia. Esortazione apostolica sull’amore nella famiglia. Introduzione di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti”. iBooks.)

Questi documenti papali sono stati accompagnati immediatamente da riflessioni e atteggiamenti pastorali indicati da alcuni vescovi, che sono stati accettati ufficialmente dal papa: i vescovi argentini hanno diffuso una lettera con indicazioni operative che vanno nella direzione di indicare un’attenta analisi della vita “rappacificata” dopo la separazione per accompagnare ad un cammino di riammissione ai sacramenti.

Di recente anche i vescovi Lombardi hanno aderito a queste indicazioni dei vescovi argentini e invitano i sacerdoti a farsi reali accompagnatori di cammini di fede e di riconciliazione umana, e che tutte le comunità sappiano accogliere ed accompagnare le persone che si trovano in queste situazioni.

E’ quindi di estrema utilità che anche i sacerdoti e le comunità siano informati di queste diverse modalità di risoluzione dei conflitti coniugali che in molti casi possono essere più aderenti ai valori ed ai cammini da percorrere.
Ne presentiamo qui in particolare due, la pratica collaborativa e la mediazione familiare.

Separarsi con rispetto

La separazione di una coppia è sempre qualcosa di doloroso, prostrante, annichilente. Spesso, nonostante la sofferenza di entrambi, si pensa che ci siano un vincitore e un vinto. Spesso il vinto sente il bisogno di sfogare la sua delusione e la sua rabbia mentre il presunto vincitore resiste agli attacchi con freddezza e determinazione creando nel vinto ulteriori sentimenti di vendetta e recriminazione. Il circolo vizioso compie il suo culmine quando queste emozioni assumono anche una veste giuridica. “L’avere ragione” diventa quindi lo scopo ultimo cui addivenire per dimostrare che l’altro è una nullità. Tale veste tuttavia può essere fornita in vari modi a seconda del rito utilizzato e del professionista che assume la difesa delle parti.

Pratica Collaborativa

La procedura della pratica collaborativa per giungere ad un accordo di separazione lungimirante, che tenga nel tempo e che consenta a entrambi i coniugi di realizzare i propri interessi nel rispetto delle proprie emozioni, è quanto di più innovativo possa essere concepito nell’ambito del diritto. Qui non si tratta di urlare di più, né di utilizzare ogni mezzo necessario per “far fuori” la figura dell’altro. Qui si tratta in primo luogo di preservare come vero interesse il benessere dei figli minori, che, come ben si sa, soffrono già per il solo fatto che i genitori si separino. Se poi la separazione sarà cruenta il loro malessere sarà praticamente assicurato. Consulenze psicologiche, test, testimonianze degli insegnanti e dei vicini di casa, denunce e contro denunce: tutto questo potrebbe essere utilizzato per aumentare il conflitto e coinvolgere i minori in una guerra dei genitori che li vede come protagonisti inermi e impotenti, in un continuo essere tirati da una parte senza nessuna considerazione delle forti implicazioni psicologiche che da tali atteggiamenti conseguono.

IMG_0570Il discrimine quindi sta proprio nel mettere da parte rabbia, delusione, egoismi personali e attenersi alla ricerca di quel “giusto” previsto dalla legge e ottenuto con metodi attenti alla collaborazione, al dialogo, al confronto sempre nella certezza della tutela dei propri diritti.
La differenza tra posizioni e interessi è quella che induce a scegliere tra i metodi tradizionali e la pratica collaborativa.

Se difatti nella separazione giudiziale, caratterizzata dal dimostrare quello che si vuole ottenere a discapito dell’altro nella speranza che il giudice accolga tale impianto difensivo (il che non è sempre certo) il focus è sulla posizioni delle parti, nella separazione ottenuta attraverso la pratica
collaborativa, ove le parti -entrambe difese da un proprio avvocato formato alla pratica collaborativa- si confrontano anche attraverso un facilitatore della comunicazione o un esperto del bambino, il focus è sugli interessi e ciò consente di arrivare a soluzioni che soddisfino entrambi i soggetti.
Tale diverso approccio modifica radicalmente il risultato.
Nella separazione giudiziale ci sarà una sentenza che potrà dare ragione o torto ma che
sancirà comunque un vinto e un vincitore così come all’inizio della separazione. Nella pratica collaborativa si addiverrà ad un accordo ottenuto dagli sforzi di entrambe le parti che diventano protagoniste del futuro loro e dei loro figli: preservati così dalla lungimiranza e dall’intelligenza emotiva dei loro genitori.
Seguendo questo percorso si arriverà a separarsi con rispetto.
(Avv. Marina Ingrascì)

Mediazione familiare

Quando una coppia può e vuole arrivare a definire in modo chiaro tutti gli aspetti relazionali e riorganizzativi del nuovo rapporto tra genitori a seguito della separazione o del divorzio può intraprendere un percorso di mediazione familiare.
La mediazione familiare prevede un numero di 10-12 incontri con uno o due mediatori in cui i genitori possono affrontare tutti gli aspetti della nuova vita, analizzare l’organizzazione futura dell’uno e dell’altro, stabilire come preservare il rapporto di entrambi i genitori con i figli, come suddividere i beni in modo che ognuno possa mantenere una buona relazione con i figli, con se stesso e con l’altro. La mediazione è un luogo di “discernimento”, di analisi delle responsabilità presenti e future di ciascuno, un modo per mettere le basi di una relazione genitoriale collaborativa e proficua per lo sviluppo dei figli.IMG_0255

Durante il processo di mediazione i genitori ripercorrono la storia coniugale, si rendono conto, a volte, che per scarsa comunicazione hanno vissuto vite parallele e spesso riescono a riconoscere il proprio contributo al fallimento della loro relazione, ma anche il bello e il positivo: la generazione dei figli.
La mediazione invia in terapia qualora ci sia ancora “brace sotto la cenere” del conflitto. Nel caso in cui uno dei due coniugi sia veramente deciso a separarsi aiuta a non colpevolizzare l’altro e a
non colpevolizzarsi, ma a sviluppare piuttosto sentimenti di collaborazione e cooperazione verso l’ex-coniuge. A volte emerge addirittura anche un senso di gratitudine per il percorso fatto insieme.
Il percorso aiuta la coppia ad apprendere un nuovo stile comunicativo in modo che il compito genitoriale sia sempre condiviso e sereno. Aiuta inoltre a verificare l’irreversibilità della scelta.

Le tematiche che vengono affrontate sono quelle che riguardano la riorganizzazione della famiglia dopo la separazione: abitazione, dove e chi esce di casa, quando si vedono i bambini, come si passano le vacanze, le feste, i compleanni, quando si fanno le telefonate, come si rispetta la privacy dell’altro genitore. Si parla di come ricavare tempo con i figli, per se stessi, per i nonni, per gli zii, ecc. Una volta stabilite tutte le questioni legate alla riorganizzazione, si tratterà il tema della comunicazione della separazione ai figli che sarà fatta da entrambi i genitori e quello della comunicazione ai nonni, agli amici ecc.

Nel processo mediatorio si aiutano gli ex coniugi a mantenere i confini educativi, a ridurre le ingerenze di parenti ed amici nel loro rapporto, in modo da rafforzarli nella genitorialità condivisa. Si parla di come e quando introdurre eventuali nuovi compagni, si discute di quale deve essere il loro ruolo.
La mediazione è una sorta di “scuola” per i genitori che si separano. Molti sono contenti alla fine del percorso e si stupiscono di poter parlare dei figli in modo sereno quando prima riuscivano solo a litigare.
A volte uno dei due genitori non vuole partecipare al percorso di Mediazione. E’ possibile in questo caso accompagnare un solo genitore in un “sostegno al singolo” nella riorganizzazione della vita dopo la separazione. Anche questo percorso può ricostruire un dialogo e abbassare il conflitto in modo da lasciare spazio alle capacità genitoriali condivise per il bene dei figli ed anche degli ex coniugi. Le capacità professionali di un mediatore sono utili a rendere più veloce, efficace e sostenuto il percorso di riorganizzazione.
(Dott.sa Alessandra Doneda)

Infine anche nel percorso canonico per l’annullamento dei matrimoni, gli esperti del giudizio si sforzano di raggiungere una qualche verità non solo riferendosi all’etica. Il processo canonico è un percorso sì di analisi critica della situazione, ma anche di autocritica con l’aiuto e l’imparzialità di un terzo. La persona è invitata prima ad un discernimento personale da cui parte il discernimento giudiziale.
Nel contesto sinodale e dell’Amoris Laetitia l’unica via per rivedere il vincolo matrimoniale è la via giudiziale canonica. Il discernimento di natura pastorale è necessario, perché il giudizio deve ricorrere ai principi generali del diritto per raggiungere l’equità canonica ma che deve essere unita alla giustizia e all’equità. Non è possibile scindere diritto, verità e giustizia e bene della persona, quindi occorre comunque sviscerare con cura tutti gli elementi del caso. Per chi è deputato all’accompagnamento in questi percorsi sono controproducenti le formazioni improvvisate che riducano ad un ricettario semplice le soluzioni, mentre un accompagnamento professionale aiuta a tenere presenti tutte le esigenze delle persone che sono coinvolte, ex coniugi e figli.

Anche in questo caso quindi avere avuto un procedimento laico della separazione che porti a far comunicare gli ex coniugi nella verità che loro sentono senza un giudizio esterno che dirima le questioni tra loro può essere un aiuto a compiere il primo passo del discernimento personale verso il cammino giudiziale del tribunale ecclesiastico per l’annullamento del matrimonio.

In definitiva occorre quindi che si diffonda la conoscenza di queste metodologie ed entri nella mentalità delle persone che farsi aiutare da altri a ritrovare un accordo, piuttosto che vincere sul padre dei miei figli o sulla madre dei miei figli, non sia segno di mancanza di forza o di incapacità, ma di grande responsabilità nei confronti di se stessi, della coppia che è stata e dei figli.

Questo apre anche alla capacità e disponibilità di farsi accompagnare in un percorso di crescita e discernimento che reintroduca le persone che si sentono escluse nella comunità cristiana. Chi ha fatto un percorso di rappacificazione di crescita nell’umanità e nella fede può e mi verrebbe da dire, deve, diventare testimone forte di un’esperienza ormai quanto mai comune e farsi a sua volta accompagnatore di chi percorre la sua stessa strada nella fraternità.

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